Vino&Leggenda

09 apr

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IL SACRO NOCE E IL SABBA DELLE JANARE.

Nell’immaginario collettivo Benevento era il luogo di ritrovo delle streghe provenienti dall’intera Europa, che si adunavano intorno ad un maestoso noce.
Tuttavia a Benevento non si racconta di streghe, bensì di janare, seguaci di Diana, donne che conoscevano le virtù delle erbe e formule magiche, che utilizzavano per guarire ogni tipo di malattia, ma anche per azioni malefiche.
Nate la notte di Natale, donne normali di giorno, che poi col buio si trasformavano assumendo anche sembianze di bestie. Prendevano il volo per assalire bambini e provocare malefici a uomini e donne, soprattutto quelle considerate rivali. Capaci di volare fino a quel noce, che da albero sacro ben presto si trasformò in pianta generatrice di paure e curiosità.

Durante i caldi pomeriggi d’estate, nella verdeggiante campagna sannita sembrano ancora udirsi le voci di anziane massaie intente a raccontarsi storie di fatture e malefici. Le scorgiamo sedute all’ombra di un ramoso noce, dal rude tronco e dalle foglie mosse dal fievole vento, scuotersi per i brividi provocati dal sussurrare i nomi di donne dotate di poteri magici oltre ogni immaginazione.
Violante da Pontecorvo, la Maga Menandra, la Boiarona, la Strega Gioconna, fino all’innominabile Bellezza Orsini: lei non era sannita, nata intorno al 1480 a Collevecchio, piccolo borgo immerso nella campagna reatina.  Sposata giovanissima, venne abbandonata dal marito alla nascita del loro figlio, a cui il fato volle venisse dato il nome di Bartolomeo, quello del santo protettore di Benevento, la città del sabba.
“Unguento unguento, mandame alla noce di Benevento supra acqua et supra vento et supre ad omne maltempo…”. È la formula magica che Bellezza Orsini confessò soltanto dietro tremende torture a quel giudice che la tacciava di stregoneria, accusa per cui perse la vita tra le fiamme. La formula che le janare pronunciavano dopo essersi cosparse di quell’unguento, miscuglio di erbe e umori, che permetteva loro di diventare incorporee e di farsi trasportare dal vento fino al demoniaco noce.
Era quello il noce rifiorito dalle radici dell’albero abbattuto da San Barbato, il vescovo nato nell’anno 603 a Castelvenere, il paese dove sorge la ‘Vinicola del Sannio’. Un noce gigante, intorno al quale i guerrieri Longobardi, cavalcando i loro cavalli, tributavano l’omaggio ad Odino infilzando in corsa brandelli di una pelle di animale.
Nonostante tutto, agli occhi dei sanniti quest’albero non ha mai perso il fascino del “divino”. Con le loro alte chiome, gli alberi di noce svettano a proteggere i filari da cui i nostri viticoltori producono le uve aglianico, sangiovese, sciascinoso e piedirosso e ancora falanghina, coda di volpe, greco, fiano e malvasia. Un albero medicamentoso: le foglie usate per guarire piaghe e ulcere; l’olio e il mallo utilizzati come depurativi intestinali. Infine il magico nocillo, preparato ancora oggi con i malli raccolti rigorosamente nella notte di San Giovanni (24 giugno): proprio quella notte in cui la rugiada conferiva indicibili proprietà alle erbe utilizzate dalle janare.

LA RICETTA DEL NOCINO DI PELLEGRINO ARTUSI
Lo scrittore e gastronomo Pellegrino Artusi (1820 – 1911) è autore dell’opera ‘La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene’, un manuale di cucina tradotto in numerose lingue. Non solo un capolavoro letterario, monumentale pubblicazione intorno a cui si è costruita l’unione gastronomica della Penisola, dando una specifica identità alla cucina nazionale italiana, fino ad allora fortemente influenzata dal gusto dei vari regnanti. All’anno della morte dell’autore, il libro – che l’Artusi aveva stampato per la prima volta a proprie spese nel 1891 – contava quindici ristampe, avendo venduto nel corso di venti anni qualcosa come 1.200.000 copie.
Sono 790 le ricette raccolte nella stesura definitiva dell’opera. Quella del nocino è contrassegnata dal numero 750.
“Il nocino è un liquore da farsi verso la metà di giugno, quando le noci non sono ancora giunte a maturazione. È grato di sapore ed esercita un’azione stomatica e tonica. Noci (col mallo), n. 30. Spirito, litri uno e mezzo. Zucchero in polvere, grammi 750. Cannella regina tritata, grammi 2. Chiodi di garofano interi, 10 di numero. Acqua, decilitri 4. La corteccia di un limone di giardino a pezzetti. Tagliate le noci in quattro spicchi e mettetele in infusione con tutti i suddetti ingredienti in una damigiana od un fiasco della capacità di quattro o cinque litri. Chiudetelo bene e tenetelo per quaranta giorni in luogo caldo scuotendo a quando a quando il vaso. Colatelo da un pannolino e poi, per averlo ben chiaro, passatelo per cotone o per carta, ma qualche giorno prima assaggiatelo, perché se vi paresse troppo spiritoso potete aggiungervi un bicchier d’acqua”.