Vino&Culto

09 apr

Vino&Culto

IL «MAJO» E LE SPERANZE DI UNA BUONA VENDEMMIA.

Nel Sannio ci sono colline che non ti aspetti. Colline pettinate dalle vigne, che cambiano il loro volto al cambiare delle stagioni. Una visione fiabesca, con i dolci pendii sormontati dalle vette del Matese e del Taburno, spesso innevate fino a primavera inoltrata.
Negli angoli più misteriosi di queste vette dell’Appennino meridionale spuntano grotte e chiese dedicate a San Michele, l’arcangelo a cui i Longobardi attribuirono le virtù guerriere un tempo adorate nel loro dio Odino. Rappresentato iconograficamente con il braccio alzato e la spada di fuoco, San Michele ricorda anche il mito di Ercole, la divinità che brandiva la clava a difesa dei pastori. Non a caso viene venerato l’8 maggio e il 29 settembre, date che corrispondevano al mettersi in moto delle greggi lungo i tratturi che percorrevano queste verdeggianti alture. A tarda primavera la salita verso i monti, fino alle vette abruzzesi; all’inizio dell’autunno la discesa verso la piana, fino al mare della Puglia o al Tirreno.
Principe degli angeli per avere sconfitto il demonio, la sua immagine è accostata a quella del fuoco. Quel fuoco che gli viene ancora tributato nel Sannio nella sera del 7 maggio, alla vigilia della ricorrenza che rievoca l’apparizione al monte Gargano, in Puglia.
È il «majo», rito legato al culto degli alberi. Il fuoco simbolo di festa, di devozione e di speranze. Nei centri che venerano il santo, in questa notte dal sapore magico, in ogni contrada ci si ritrova nello spazio – rimasto sempre lo stesso nel corso dei secoli – dove dar vita al rito. Nel corso del pomeriggio si provvede ad accatastare la legna, che inizia ad ardere appena calato il sole. L’arrivo del buio dona la visione di tante fiammelle che vanno ad incorniciare il cielo primaverile cosparso di stelle.
Il «majo» rappresenta il simbolo più forte del culto micaelico, che nel corso dei secoli si è radicato sui resti di culti pagani che con il loro simbolismo ancora pregnano la ruralità sannita. Ed ecco che intorno a questi falò ancora si levano i racconti dei fedeli, che vanno ad irradiarsi tra le vigne che già promettono ricchezza. Intorno ai fuochi gli agricoltori pregano e cantano chiedendo un buon raccolto. Un rito beneaugurante per invocare una vendemmia propizia.