Essenze Sannite

Essenze Sannite

Il Sannio è un territorio antico e protetto, che nasconde splendidi segreti e storie affascinanti.
In questi racconti percorreremo insieme itinerari emozionanti, tra natura, cultura, storia, tradizioni, arte e sapori.
Un viaggio in un mondo carico di magia, tutto da esplorare e da scoprire.

CON L’INIZIATIVA ‘ESSENZE SANNITE’ LE BOTTIGLIE DELLA VINICOLA DEL SANNIO DIVENTANO VOCE NARRANTE
DEL SAPERE E DEI SAPORI DI UN TERRITORIO MAGICO

Un collarino bimestrale con una carrellata di storie che ruotano intorno al vino per raccontare ai consumatori l’affascinante unicum che pregna la terra sannita.
Incuriosire, emozionare, stimolare la conoscenza del territorio sannita attraverso il vino.
Con cadenza bimestrale le etichette di una delle linee prodotte dall’azienda saranno corredate da un prezioso collarino ad otto facciate, che riporta una piccola carrellata di ‘Storie da un territorio magico’ impreziosite da suggestive illustrazioni.
Racconti che prendono spunto dalla storia, dalla cultura, dalle tradizioni, dai miti e dalle leggende e dalla gastronomia del Sannio, descrivendo sapere e sapori di un territorio da sempre legato alla coltivazione della vite.

Collarino

Un tuffo in quella “magia” chiamata Sannio per coinvolgere emotivamente i consumatori che si troveranno tra le mani, insieme ad un buon bicchiere di vino, le essenze di un terra integra ed accogliente.
Alle bottiglie impreziosite dal primo numero di questo progetto si è deciso di affidare un vero e proprio invito alla conoscenza di un territorio unico e irripetibile.
Il tutto per raccontare attraverso una formula diretta e coinvolgente quell’unicum che pregna il territorio sannita, per trasferire ai consumatori – potenziali viaggiatori – l’invito ad addentrarsi nella magia di un paesaggio, tra le vigne e le campagne e tra le viuzze e gli slarghi dei centri storici del Sannio.

Storie di un territorio magico

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Uva e mistero.

Cauda Vulpium

Nella famosissima favola di Esopo, la volpe e l’uva sono protagoniste di una storia il cui insegnamento morale è quello di non denigrare ciò che non si riesce ad avere.

Tra le vigne del Sannio, la volpe e l’uva si fanno un tutt’uno, plasmandosi in grappoli da cui nasce il vino bianco storicamente più rappresentativo dell’intera Campania. Coda di volpe, uva il cui nome deriva dal latino “Cauda Vulpium”, proprio ad indicare la forma caratteristica del grappolo, che presenta una curvatura nella sua parte apicale che ricorda, appunto, la coda di una volpe.
L’origine del nome del vitigno, che richiama la forma del grappolo, ha permesso di seguire il cammino compiuto dallo stesso nel corso dei secoli, mantenendo la certezza della sua identità. Le sue origini sono probabilmente greche e la sua presenza nella penisola italica è accertata già in epoca romana. Difatti è citata nel I secolo d.C. da Plinio il Vecchio nel suo monumentale ‘Naturalis Historia’, dove scrive «Minus tamen, caudas vulpium imitata, alopecia», laddove parla dei vitigni adatti ad essere allevati con il sistema della pergola.

Giovan Battista della Porta, per primo (1584), non ha difficoltà a sostenere la sinonimia tra il coda di volpe e la pliniana “vitis alopecis”. Successivamente, anche gli ampelografi del XIX secolo (Giuseppe Frojo) e dell’inizio del XX (Giovanni Emilio Rasetti e Michele Carlucci) ne danno descrizioni che combaciano perfettamente con l’uva conosciuta dai Romani.Tuttavia, la storia di questo vitigno autoctono è stata piuttosto travagliata. Per tantissimo tempo accostato al Pallagrello, lo troviamo descritto con questo termine nei più grandi trattati di ampelografia moderna. Frojo, nell’opera ‘Il presente e l’avvenire dei vini d’Italia’ (1876), parla della “pallagrella bianca” come l’uva che caratterizzava fortemente i vini prodotti a Pannarano e Cerreto Sannita, considerati i migliori bianchi allora prodotti nella provincia di Benevento. Sempre Frojo, descrivendo le uve coltivate nella vicina Piedimonte d’Alife, associava a questa uva il sinonimo di “coda di volpe bianca”, tracciando un identikit dell’uva perfettamente corrispondente alle uve coltivate oggi nelle campagne dei viticoltori che sono storici conferitori de ‘La Vinicola del Sannio':
«Grappolo cilindrico, molto allungato, semiserrato; acino piccolo, pochissimo ovale; stipite lungo, erbaceo.
– Foglia: mezzana, 5 lobi, il mediano molto spiccato, due seni piccoli, tondi, chiusi, denti grossi, acuti, glabra nelle due pagine, seno della base semichiuso, picciuolo rossastro, 2/3 n.m.
– Tralcio: rigato, rossastro, sottile, internodi corti
– Buccia: pruinosa, biondo dorata, semicoriacea
– Polpa: carnosa, succulenta – Sapore: dolce».
La tradizionale presenza di questo vitigno, che negli anni Settanta era tra quelli maggiormente coltivati nel Sannio, è finita sotto la scure della crescente diffusione del vitigno falanghina e, in misura minore, di quelli fiano e greco.

Eppure, la fortuna di questi vitigni è legata molto al lavoro dell’uva coda di volpe, sconosciuta fuori dalla regione e storicamente utilizzata come uva da taglio, per smorzare l’elevato tasso di acidità di falanghina, fiano e greco, accentuata ulteriormente dalla natura dei terreni, quasi ovunque fortemente condizionati dall’intensa attività vulcanica. La sopravvivenza del vitigno coda di volpe nel Sannio è legata alla storia di un appassionato produttore della vicinissima Massa di Faicchio, Mario Gismondi, che con impegno e caparbietà riscoprì le ottime peculiarità di questa antica varietà da cui si ricava un vino di corpo medio, dorato, tenue nei profumi, ricco di alcol e non troppo ricco di acidità. La coda di volpe è un’uva misteriosa, le cui potenzialità sono ancora tutte da scoprire e che ha ancora molte cose da raccontare. È un’uva operaia, il cui destino ricorda quello toccato alla genovese, il piatto che maggiormente identifica Napoli e la Campania. Un piatto poco conosciuto fuori regione, dove la cucina partenopea è identificata con il ragù. Invece, questa salsa di cipolle e carne, inventata forse da un monzù di Ginevra (Genève, da cui potrebbe derivare il nome) o, per caso, da portuali genovesi di stanza al Beverello, è il vero piatto della domenica nelle famiglie, presentato a tavola con gli ziti spezzati. Proprio come questa ricetta, anche la coda di volpe è oggi un’uva diffusa in tutte le cinque province, molto amata dagli appassionati, ma ancora misteriosa fuori dai confini della Campania. La coda di volpe è un’uva resiliente che è riuscita a sopravvivere alle minacce e a dimostrare la sua estrema forza, da cui ‘La Vinicola del Sannio’ ottiene un bianco dal fascino antico e dal volto moderno. Antico perché capace di trasmettere con immediatezza tutta la sapienza dei viticoltori sanniti. Moderno per la sua tipicità e per la sua straordinaria abbinabilità ai piatti della cucina campana.

Fare il vino per la Vinicola del Sannio rappresenta un progetto verace

In un calice la storia di una famiglia, di tante vite e di un territorio

Il nostro è un progetto che si basa sulla fiducia, bene prezioso che si conquista e non si regala. Ci riusciamo grazie alla grande passione che nutriamo per il vino, trasmessaci dal lavoro di chi ci ha preceduto. Nel 1951, quando papà Raffaele decise di investire i risparmi accantonati in anni di duro lavoro nei campi, pensò di investire in una tenuta con frantoio. Si recò a Poggibonsi, nel cuore della Val d’Elsa, attirato dalla possibilità di un buon affare. Al suggestivo scenario delle Crete senesi preferì le verdeggianti colline circondanti Castelvenere, il suo paese natìo, dove gli ulivi venivano “maritati” alle viti. Con il sapore di un sogno, occhi vigili e piedi a terra diede il via alla nostra storia. Trascorso un decennio, il vino diventò il prodotto protagonista in azienda. I consumi salirono vertiginosamente. La vite, fino ad allora coltivata in maniera promiscua per soddisfare soprattutto un bisogno di nutrimento, assunse il valore di bene economico. Iniziarono a comparire le prime bottiglie con il tappo a corona. Arrivò la Denominazione di origine ‘Solopaca’, prima nel Sannio e seconda in Campania. Alla metà degli Anni Novanta, mio figlio Raffaele decise di seguire le orme tracciate dal nonno. Fu il realizzarsi del mio sogno: vederlo lavorare al mio fianco. Progettammo e realizzammo la nuova cantina, modernamente attrezzata. Oggi ad affiancare Raffaele in azienda c’è la sorella Gina. A vederli ripenso al sogno di mio padre. Occhi vigili e piedi a terra immagino un nuovo sogno, capace di contagiare anche le piccole Michela ed Eulalia.