12 feb

Vino&Territorio

CASTELVENERE TRA I COMUNI “PIU’ VITATI D’ITALIA”.

Castelvenere (circa 2.600 abitanti) sorge nel cuore della Valle Telesina, una delle aree più ricche del Sannio antico. Il suo territorio vitato è protetto da due Dop (‘Sannio’ e ‘Falanghina del Sannio’) e da una Igp (‘Benevento’).
Sulle origini del nome ci sono studiosi che fanno derivare il toponimo Veneri dalla probabile presenza di un tempio dedicato alla Dea Venere. Altri lo legano al dominio longobardo, potendo derivare da Venerus (nome tipico alto-medievale) o da Wien (affluente del Danubio che scorre nell’area da cui si mossero famiglie sassoni o danubiane, chiamate Wiener Wolk). Altri ancora lo collegano a Santa Venere o Santa Veneranda, del cui culto non si hanno tuttavia testimonianze. Infine c’è chi associa il nome sempre a Wien, considerato come derivazione dell’idronimo e poleonimo di veidininia o viduna, ovvero la boscosa o acqua dei boschi, tutti derivati dal celtico vidu (albero, bosco, foresta).
In effetti, il territorio su cui oggi si dipanano circa 900 ettari di vigne specializzate (il 60% della superficie totale, dato che proietta Castelvenere tra i Comuni “più vitati” d’Italia, in termini di percentuale) era quasi tutto coperto da boschi e paludi: alla metà del XIX secolo si descrive questo villaggio di Terra di Lavoro di 600 abitanti come zona di produzione di frumento e vini in cui si respirava aria «poco sana». Nella primavera del 1898, da scavi di altra natura riemersero resti di una palafitta del neolitico: si trattò di una scoperta di grande valenza scientifica, che dimostrava che gli abitanti delle palafitte si fossero sparsi anche nell’ Italia meridionale.
In quest’area il vino si produce fin dal tempo dei Romani. Tra le fonti scritte, del vino di Castelvenere si trova traccia in un documento del 1426, trascrizione di un atto risalente ad un periodo precedente: tra le regole disciplinanti la vita di Telesia, alla voce “De bucturariis” si riportavano le tassazioni vigenti per smerciare vino nella città, tra cui quella per i produttori provenienti da Veneris.
La testimonianza più suggestiva è però rappresentata dalle cantine tufacee ubicate nel perimetro del borgo medievale. Se ne contano oltre trenta: una vera e propria “città ipogea” che nella seconda metà dell’Ottocento costituiva il cuore pulsante della vita e dell’economia di un paese che da lì a poco, grazie allo svilupparsi della viticoltura, sarebbe esploso demograficamente.
In termini di percentuale di superficie coltivata a vite rispetto a quella totale, Castelvenere è tra le realtà più vitate d’Italia, sfiorando il primato nazionale. In questa particolare classifica, la percentuale che contraddistingue Castelvenere si piazza anche davanti Marsala, fino a sfiorare le vette rappresentate da alcuni centri del Piemonte (Ricaldone e Castiglione Tinella).
Come in tutti questi luoghi, anche a Castelvenere la vite segna la storia, rappresentando l’essenza e la ricchezza, non solo delle 539 aziende agricole qui censite nel Censimento dell’agricoltura del 2010, ma dell’intera comunità. Ricchezza materiale e immateriale, frutto di processi storici secolari, unici. Specchio di una cultura che si declina con il patrimonio di vitigni, di ambienti colturali, di viticoltori appassionati, di storie, di personaggi.
Risorse e primati che partono da lontano, come ben testimoniano i documenti. Non mancano tracce di produzione di vino in epoca romana nel territorio di Telesia. Interessante e curioso che del vino di Telesia si parlasse anche nella famosa opera letteraria ‘Quo vadis?’, il romanzo storico pubblicato alla fine dell’Ottocento e che valse il Premio Nobel per la letteratura (anno 1905) allo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz. Al di là della letteratura, sono tante le fonti storiche che attestano la lavorazione del vino nelle ville romane. Alfredo Romano, nella sua ‘Storia di Solopaca’, racconta di una lapide di epoca romana rinvenuta nella vicina Puglianello, dove è testimoniato che nel giorno del compleanno di Cesare Augusto si passassero agli operai vino, focaccia e miele.
Dopo i Romani non furono da meno i Longobardi. Il popolo che dominò su queste terre per oltre sei secoli ebbe grande rispetto per il vino, simbolo di nobiltà. Nel famoso ‘Editto di Rotari’ o ‘Edictum Longobardorum’ (anno 643), la serie di norme che rappresentava la fusione tra le tradizioni orali germaniche e il Diritto romano, vi erano leggi dedicate espressamente alla difesa della viticoltura e del vino. Evidente appare anche l’impulso apportato successivamente dagli ordini monastici, considerata anche la presenza in loco di testimonianze benedettine, ordine che curava e coltivava la vite per le esigenze del culto e i bisogni dei monasteri, contribuendo anche allo sviluppo di nuove tecniche enologiche.
Infine l’esplosione avvenuta nell’Ottocento, che ha rappresentato il periodo di massimo sviluppo vitivinicolo castelvenerese. A partire dall’Unità d’Italia la vite, da sempre coltivata in territorio castelvenerese, è diventata la coltura dominante, principale voce dell’economia del luogo. Si tratta di una vasta estensione viticola anche dal punto di vista della quantità dei vitigni storici, testimonianza dello sviluppo e della diversificazione della viticoltura, caratterizzata dalla frammentazione in un crogiolo di vigneti privati, anche di piccole dimensioni. Si tratta di uno straordinario esempio di interazione tra società e ambiente: nel corso dei secoli le vigne sono state integrate in un paesaggio dove ogni trasformazione è dovuta alla determinazione dell’uomo nell’ottimizzare forma, contenuti e funzioni in relazione alla coltivazione.
A questa protezione concorre anche la pianificazione di un Piano urbanistico comunale che nel 2013 è stato premiato come “Miglior Piano regolatore” dall’associazione nazionale delle ‘Città del Vino’.